I corridoi umanitari
di Rachele Schettini *
Il tempo è scaduto, le forze Nato stanno già smobilitando per le operazioni di rientro e di abbandono dell’ultimo presidio afghano sotto il loro controllo.
Il ponte aereo militare di emergenza messo in piedi per l’evacuazione del maggior numero possibile di collaboratori afghani e loro familiari ha solo poche ore, ancora più convulse e disperate, prima di terminare il suo compito. Gli altri, accalcati, disfatti dall’attesa, dentro e fuori dall’aeroporto Hamid Karzai resteranno a terra, in balia di vendette e ritorsioni.
Si muovono le Istituzioni internazionali ed europee, cercando coesione ed azioni rapide per dilatare i tempi e tentare ulteriori azioni.
Al G7 straordinario convocato dalla presidenza britannica, gli Usa respingono ogni ipotesi di rinvio oltre la data prefissata.
Dal 1 settembre tutto l’Afghanistan dovrà essere sotto esclusivo controllo dei taleban.
Guardando già oltre, durante il G7 il presidente Draghi convoglia l’attenzione dei Sette verso gli afghani che rimarranno intrappolati nel loro stesso paese, sollecitando una immediata gestione unitaria dei flussi successivi di profughi e il dirottamento delle risorse destinate all’addestramento dei militari afghani verso per gli aiuti umanitari
A livello UE si riunisce il Consiglio europeo con i 27 paesi, a presidenza slovena per il semestre in corso, per l’avvio di un piano comune per la realizzazione di corridoi umanitari, ma la proposta si infrange immediatamente di fronte al diniego del presidente sloveno, sostenuto dai quattro paesi del gruppo di Visegrad.
Cosa sono i corridoi umanitari, così invocati in questi giorni dalle ONG, dalle associazioni, a cui uniamo anche la nostra voce, e dalla stessa società civile?
Richiesti nelle ricorrenti crisi umanitarie dopo il disfacimento del’URSS, essi stanno ad indicare un territorio smilitarizzato in un’area di conflitto per consentire un flusso legale e controllato di profughi in fuga. Non hanno mai avuto una base giuridica fino al 1999, allorquando il Parlamento europeo inserisce nel Regolamento per i Visti la previsione di un particolare Visto per motivi umanitari, da adottarsi da parte di ogni Paese Schengen.
L’Italia si è distinta a livello europeo per la capacità di organizzazioni umanitarie e religiose, unitamente al governo, di realizzare corridoi umanitari, soprattutto durante la recente crisi siriana.
La macchina di attivazione e realizzazione è complessa, richiede la volontà del paese in conflitto a consentire l’uscita dei profughi, una presenza su quel territorio di una delegazione civile del paese disposto ad accoglierli, contatti e relazioni tra i due governi.
Dall’altra parte, di fronte a paesi volenterosi, come il nostro, in territorio afghano si presenta un quadro anomalo, per molti aspetti inedito, con sviluppi imprevedibili subordinati all’interagire di diversi fattori interni ed esterni, che rendono al momento per l’Occidente impraticabili i necessari rapporti.
Ma l’Afghanistan non è isolato, non potrebbe esserlo.
Se l’Occidente si è espulso, vi gravitano intorno altre potenze ed altri stati regionali, con rapporti intessuti con i taleban prima della presa del potere e pronti a svilupparsi ulteriormente.
L’attivazione di un ponte aereo civile da Kabul potrebbe essere il primo passo per un corridoio umanitario europeo, da ottenere attraverso l’intervento di potenze e attori regionali come Russia, Cina o Pakistan e Turchia.
Occorre intervenire in fretta, i tempi sono molto stretti, l’escalation del dramma afghano non si ferma. In questi momenti giunge notizia di una attentato kamikaze lungo la cinta dell’aeroporto ove la folla dei fuggiaschi è accalcata. Morti, feriti, anche tra i marines statunitensi.
La formazione terroristica afghana, collegata all’Isis, in funzione antitalebana, è entrata in campo. Ma i nuovi padroni del territorio non sono stati in grado di garantirne la sicurezza, il popolo vive l’ora buia della sua storia.
*Presidente di Europa2010